Ammutinamento. Questa è una di quelle storie che vanno raccontate iniziando... dalla fine. E, allora, decolliamo. Ottobre 1968, missione lunare Apollo 7: il Bounty della NASA – l’ente spaziale americano –. Il volo spaziale dove il Comandante, l’onsernonese Walter Marty “Wally” Schirra, si è ribellato, cambiando la storia. Per quale motivo? Per aver disobbedito all’ordine di chiudere ermeticamente le visiere dei caschi durante l’ammaraggio di Apollo 7. Perché lo fece? Per il timore di soffocare visto il raffreddore che aveva contagiato tutto l’equipaggio. Una scelta azzardata, visto che, pochi mesi dopo, due cosmonauti russi moriranno per la decompressione della loro capsula: avevano scelto di non indossare i caschi.
Dopo Apollo 7, Schirra non volerà mai più. Ma quell’ammaraggio nel mar dei Caraibi ha segnato una svolta nella conduzione stessa della NASA, che dovette accettare il fatto che i piloti non fossero delle macchine, e che la loro psicologia li avrebbe potuti portare a prendere decisioni indipendenti dal “controllo missione”. Da qui, da quell’ammaraggio di Apollo 7, sarebbero nate nuove tecniche di addestramento volte a valorizzare il pilota e la sua autonomia decisionale. Torneranno utili alla celebre missione Apollo 13.
Flashback su una carriera... spaziale
Flashback. 15 dicembre 1965. Cape Canaveral. Forte di una lunga carriera nell’aviazione navale a stelle e strisce, Walter Marty Schirra Junior, detto “Wally”, era stato scelto sei anni prima per entrare a far parte del programma denominato “Group 1”, con cui la NASA avrebbe lanciato l’assalto alla Luna, che avverrà nel luglio del 1969. Quel giorno di metà dicembre di quasi 60 anni fa, Schirra decollava dalla Florida ai comandi della missione Gemini 6A per portare a termine il primo “rendez vous” in orbita della storia tra veicoli spaziali con uomini a bordo. Una manovra azzardata, con un margine d’errore inferiore ai 30 centimetri, ma portata a termine con una maestria che valse parecchia fama a Wally Schirra. Tanto da vedere la sua faccia sorridente stampata qualche tempo dopo sulla copertina del prestigioso Life Magazine.
Gli anni da aviatore
Ma è tutta la storia volante dell’astronauta di origini onsernonesi che merita di essere raccontata, perché narra di uno dei piloti che maggiormente ha segnato la sua epoca. Ed è una storia che inizia nell’aviazione militare targata USA, dove Schirra svolge la formazione alla base navale di Pensacola, sempre in Florida ed è uno dei primi piloti in servizio su un aereo da caccia con propulsione a reazione, tanto da risultare poi – anni dopo – il secondo aviatore della storia a superare le mille ore di volo su questo tipo di apparecchio. Una prima svolta nella carriera di Wally Schirra è però legata ai tragici eventi della Guerra di Corea, dove tra il 1951 e il 1952 è protagonista di 90 missioni di combattimento e con il suo F-84s – un’autentica leggenda della storia del volo a reazione – viene “accreditato” dell’abbattimento di un MiG15 e del danneggiamento di altri due. Successi militari che si traducono in medaglie ed onori. E nell’entrata nell’esclusivo circolo degli “assi” dell’aviazione.
Al ritorno dalla Corea, inizia una seconda fase nella carriera volante di Schirra, che passa a mansioni di pilota collaudatore, istruttore e pilota di velivoli da trasporto. Ma ancora una volta ha occasione di mettersi in luce. Durante un test militare con protagonista il suo jet - nell’occasione un F7U-3 Cutlass ben più moderno rispetto all’F-84 - e i missili Sidewinder, un problema nella simulazione porta il missile a mettere nel mirino proprio il caccia con ai comandi Schirra. Le cronache dell’epoca riportano una sua manovra da “pilota di grande talento” per evitare il peggio, con l’ordigno ad uscire sconfitto dall’imprevisto “duello nei cieli”. Un esempio lampante della dura vita dei piloti collaudatori in quegli anni, aviatori considerati – di fatto – sacrificabili, come magistralmente raccontato - con al centro i tester del velivolo X-15 - nel best seller di Tom Wolfe “The right stuff” da cui fu tratto un film vincitore di quattro premi Oscar.
Un uomo verso l’infinito
Verso la fine degli anni Cinquanta, gli Stati Uniti avanzano a grandi passi nel programma per portare un uomo nello spazio. E anche se la corsa contro l’Unione Sovietica vedrà gli americani arrivare secondi dietro il leggendario Yuri Gagarin, tra i grandi protagonisti dell’avventura spaziale statunitense emerge anche il nome di Walter Marty Schirra. Nel 1959 con altri 110 piloti collaudatori militari viene inserito nel processo di selezione che lo porterà, nel corso del medesimo anno, ad essere scelto tra gli “Original Seven”, i primi sette cosmonauti della storia americana. Nel progetto Mercury, questo il nome della missione, Schirra si specializza in mansioni legate alla sicurezza e al comfort dei piloti in orbita, come ad esempio i test di pressurizzazione sulla tuta spaziale. Ed è proprio nel contesto del progetto Mercury che decolla per la prima volta verso l’ignoto. È il 3 ottobre del 1962 e Wally Schirra diventa il quinto americano a volare nello spazio. A sei riprese gira attorno alla Terra, toccando velocità superiori ai 28mila chilometri orari alla quota di 282 chilometri. Ammarerà nell’Oceano Pacifico 9 ore, 13 minuti e 11 secondi dopo il lancio. Ma sarà solo l’inizio.
Una carriera fulminea e tanti rischi
Perché siamo a quel famoso 15 dicembre 1965, quando il vettore della missione Gemini 6A si stacca dal suolo della Florida. In realtà il lancio era previsto già ad ottobre e la missione avrebbe dovuto avere lo scopo di agganciare un veicolo spaziale senza uomini a bordo. Ma problemi tecnici spinsero la Nasa ad attendere qualche settimana per fare un ulteriore passo avanti nello spazio, programmando il “rendez vous” tra Gemini 6A e Gemini 7. Al primo tentativo di lancio, si sfiorò comunque il disastro. Uno dei razzi di propulsione si spense proprio pochi istanti prima del lancio. Una situazione che, stando alle regole di missione, avrebbe imposto all’equipaggio formato da Schirra e da Thomas Stafford una pericolosa manovra di eiezione dal veicolo spaziale. Il comandante giudicò però troppo rischioso farsi letteralmente “sparare fuori” dal vettore ancora fermo a terra. Un’analisi ancora una volta rapida e corretta a tutela della sicurezza dell’equipaggio, settore a cui Schirra aveva a lungo lavorato. La missione ebbe quindi successo e fu a lungo ricordata negli “States” anche perché Wally Schirra fece qualche scherzo decisamente guascone, come segnalare alla base un oggetto volante non identificato e guidato da Babbo Natale, e suonò “Jingle Bells” nello spazio con un’armonica a bocca prodotta dalla Hohner, storico marchio di strumenti. Qualche mese dopo sul mercato apparve un modello speciale dedicato all’astronauta e ampiamente pubblicizzato dall’azienda.
Yabba-Dabba-Doo celeste
A far entrare ancor più Wally Schirra nella storia dell’esplorazione spaziale contribuì in seguito anche una delle prime tragedie delle missioni Nasa, l’incidente di Apollo 1. L’astronauta di origini onsernonesi fu infatti assegnato al comando del secondo volo di prova con una capsula con tre uomini a bordo, ma dopo il primo collaudo effettuato dall’equipaggio formato da Grissom, White e Chaffee il secondo fu ritenuto non necessario e il terzetto Schirra, Eisele, Cunningham passò al ruolo di riserva. Nel gennaio del 1967, però, durante un test a terra la capsula di Apollo 1 prese improvvisamente fuoco, uccidendo i tre astronauti scelti per la missione, che non poterono far nulla in quei 15 interminabili secondi tra l’allarme fuoco e la loro tragica fine. Per uscire dalla capsula attraverso il portello d’emergenza, infatti, ci sarebbero voluti 90 secondi. Il programma di volo di Apollo fu quindi sospeso per 20 mesi, ma la missione seguente fu affidata proprio all’equipaggio comandato da Schirra.
Con il nome di Apollo 7, il volo spaziale che portò Wally Schirra a diventare il primo e unico astronauta ad aver partecipato a tutti i primi tre programmi della Nasa decollò dalla base di Cape Canaveral alle 15.02 ora locale dell’11 ottobre 1968 per una missione che sarebbe durata 10 giorni e 20 ore con risvolti per certi versi sorprendenti. Al di là del lavoro tecnico-scientifico che avrebbe poi contribuito in modo sostanziale al successo di Apollo 11 con l’allunaggio del luglio 1969, a bordo della capsula capitò un po’ di tutto. Intanto Schirra attaccò a Eisele il raffreddore probabilmente più famoso della storia, che rese spesso comiche le comunicazioni con la base a terra, compreso un celeberrimo “Yabba-Dabba-Doo!”, esclamazione tipica del personaggio dei cartoni animati Fred Flinstone, lanciato proprio da Schirra nel corso della missione. Durante il volo, poi, per la prima volta fu realizzato un collegamento in diretta televisiva con lo spazio, impresa che valse proprio a Schirra e al suo equipaggio un Emmy Award, il prestigioso premio americano dedicato alle migliori trasmissioni televisive, visto che le dirette dallo spazio di Apollo 7 si trasformarono immediatamente in un grande successo tra il pubblico, soprattutto grazie allo spiccato senso dell’umorismo da parte del terzetto di astronauti.
Al di là delle polemiche seguite all’ammutinamento di Schirra, che l’ammaraggio del 22 ottobre 1968 nell’Atlantico del Nord sarebbe stato l’ultimo della sua straordinaria carriera spaziale, l’astronauta lo aveva annunciato già alla vigilia della missione. Infatti il 1° luglio del 1969, pochi giorni prima dell’allunaggio, “Wally” lascia il corpo astronauti della NASA. Ma per lui parlano le cifre: 4.577 ore di volo totali, 295 delle quali nello spazio e 267 atterraggi su portaerei. E il tutto ancor prima che iniziassero gli anni Settanta! Una carriera che lo portò di diritto a far parte del ristretto novero dei grandi piloti dell’aviazione statunitense, con un posto d’onore nella “International Space Hall of Fame” al museo di storia dello spazio del New Mexico. Dove Schirra ebbe a spiegare: “La sensazione del volo in assenza di gravità è tante cose assieme: un sentimento di orgoglio, di sana solitudine, di dignitosa libertà da tutto ciò che è sporco, appiccicoso. Ti senti squisitamente comodo e senti di avere così tanta energia, una tale voglia di fare le cose e una tale capacità di farle. E si lavora bene, sì, si pensa bene. Senza sudore e senza difficoltà… Come se fossi rinato”.
Dall’Onsernone all’eternità
Tra conferenze, riconoscimenti, molti impegni benefici in fondazioni ed enti di solidarietà, nella seconda metà degli anni Settanta Wally Schirra trovò anche il tempo per visitare Loco, il paese d’origine dei nonni. Celeberrima la sua battuta dopo aver percorso la strada salendo da Locarno. “Mi è stato più facile volare sulla luna che arrivare fino a qua!” Dopo la sua morte, avvenuta nel 2007 per un arresto cardiaco all’età di 84 anni, la marina americana gli ha dedicato una nave, il cargo USS Wally Schirra, varato l’8 marzo 2009. Chissà cosa avrebbe pensato, oggi, il guascone “Wally”, guardando ad un mondo della corsa allo spazio dove gli astronauti sono ingegneri elettronici e non più necessariamente piloti, mentre sulla luna ci vanno i privati e non gli Stati. Difficile da dire, ma forse ci avrebbe sorpreso ancora una volta.
Le ceneri del Comandante Walter Marty “Wally” Schirra sono state affidate all’Oceano l’11 febbraio 2008 da bordo della portaerei Classe Nimitz USS Ronald Reagan.