Fine Ottocento. La seconda rivoluzione industriale è partita da poco (1870), ma il lavoro di semina e raccolto nei campi è quello di sempre e, soprattutto nelle risaie, sono le donne ad essere impiegate da mattino a sera per pochi spiccioli. Sono proprio le donne a dare il “la” ad una rivoluzione che unirà lavoratrici e lavoratori in una lega che condivide aspettative e rivendica giustizia. “Sebben che siamo donne” diventa una canzone che si trasforma in inno. “Sebben che siamo donne” è il titolo di questa rubrica che, mese dopo mese, vuol farvi conoscere donne speciali. La prima, a settembre, è stata Carla Del Ponte; a ottobre è stata la volta di Laura Silvia Battaglia; poi, a novembre, si è raccontata Federica De Rossa; a dicembre c’è stata Valeria Doratiotto Prinsi; a gennaio Roberta Cattaneo; a febbraio Sandra Manca e oggi c’è
“L’apparenza inganna”. L’avranno detto anche a voi, almeno una volta, nella vita. Quel che è certo è che questo detto popolare è un sempreverde. Se non sapessi che ho appuntamento con lei, nel vederla avrei pensato a una studentessa. Sorridente, stretta di mano di quelle belle - da “patti chiari, amicizia lunga” -, elegante e cordiale mi fa strada nei corridoi fino a giungere all’aula 223 che, adesso, è ‘sala riunioni’. Siamo all’Università della Svizzera italiana. Lei è Monica Duca Widmer che di quest’università è la presidente. Scorrendo il suo curriculum vitae ciò che assale è una buona dose di soggezione. Laurea in ingegneria chimica, imprenditrice, presidente (anche del Gran Consiglio ticinese nel 2007-2008), manager. Insomma, di tutto e di più. È anche per questo che il Consiglio federale, che non nomina chicchessia, per procedere alla fondazione della nuova società di partecipazione delle aziende d’armamento della Confederazione, il 14 giugno 2019 nomina proprio lei per: “costituire il consiglio d’amministrazione della nuova società di partecipazione della RUAG e per seguire la costituzione dei consigli d’amministrazione delle due nuove subholding, MRO Svizzera e RUAG International” e permettere poi di procedere con lo scorporo della ex-RUAG . Tempo a disposizione: entro il 2022. Interlocutori di Monica Duca Widmer: il Dipartimento Federale delle Finanze con a capo Ueli Maurer e il Dipartimento federale della Difesa con a capo Viola Amherd.
“Certo che l’ho portato a termine. Non è stato semplice perché il processo di scorporazione e di vendita di parte della RUAG è stato effettuato in periodo di pandemia. Oltre a ciò, la decisione del Consiglio Federale di vendere RUAG Ammotec - specializzata nella produzione di munizioni per piccole armi per difesa, forze dell'ordine, per la caccia e lo sport – è stata rallentata dal Parlamento, da una mozione del Consiglio Nazionale, che domandava di rinunciare alla cessione per motivi di sicurezza e per preservare posti di lavoro. La stessa è stata però respinta e Ammotec ha così potuto essere venduta, come previsto dal Consiglio federale. All’inizio del progetto di scorporo nel Consiglio di Amministrazione della società di partecipazione vi erano anche i due presidenti delle subholding. Sono poi stati sostituiti nel 2021 con i Segretari dei rappresentanti dei due Dipartimenti interessati. Arrivarono così Sabine D’Amelio-Favez, direttrice dell’Amministrazione federale delle finanze (AFF) e Toni Eder, segretario generale del Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS). Alla fine del mio mandato, nel giugno del 2022, la società di partecipazione è stata sciolta e le due aziende scorporate sono ora gestite direttamente per quanto attiene RUAG MRO dal DDPS, mentre quello che ancora resta - per ora - di RUAG International dal AFF”.
“Direi che sono anche presidente dell’Università e le assicuro che con all’orizzonte i primi Master di medicina per una cinquantina di studenti iscritti all’USI - ma che hanno ottenuto il Bachelor principalmente al Politecnico di Zurigo, alle Università di Basilea e di Zurigo e che poi, nei seguenti tre anni, studiano a Lugano per l’ottenimento del Master – l’impegno per l’Università è stato grande, ma anche la soddisfazione. Nel sondaggio svolto tra gli studenti di medicina di diverse università svizzere USI è risultata al di sopra della media svizzera per quanto attiene la soddisfazione degli studenti. Ora la prova finale è costituita dagli esami federali che avranno luogo a settembre. La facoltà di scienze biomediche necessiterà nei prossimi anni un’attenzione particolare: la ricerca USI-EOC andrà ampliata, a beneficio non solo di formazione e ricerca, ma anche della qualità delle cure per la popolazione. Sarà necessario riuscire ad attingere a finanziamenti sia pubblici sia privati, in un momento economico tutt’altro che facile, ma la portata dell’operazione per il nostro Cantone è tale da permettere di essere fiduciosi”.
“Nessuno. La passione e la curiosità sono i motori della mia vita e, lo ammetto, ho la fortuna di avere in queste due mie caratteristiche una bussola infallibile. Se qualcosa mi interessa, mi affascina, ecco che mi ci butto con tutta me stessa. Mi entusiasmo perché imparo sempre qualcosa di nuovo. È sempre stato così, fin da quando decisi che, al Politecnico, avrei studiato ingegneria chimica. Allora non fu semplice far passare l’idea in casa. Le donne, come dicevano i miei genitori, dovevano scegliere facoltà che permettessero loro di metter su famiglia. ‘Visto che ti piace la chimica, potresti studiare farmacia’. Mi impuntai e… la vinsi. Non fu semplice nemmeno all’università. Al Politecnico di Zurigo mi ritrovai ad essere l’unica donna iscritta del semestre. Mi guardavano come una specie: o nuova o in via d’estinzione. È lì che conobbi Philipp che poi è diventato mio marito. Anche lui ingegnere chimico. Quando ci siamo laureati pensavamo che il nostro futuro sarebbe stato nella Svizzera interna e invece, al di là delle sue aspettative (‘non troverai mai lavoro in Ticino’) il posto di lavoro in Ticino lo trovai in un’azienda del settore alimentare. Fu così che ci trasferimmo. In quegli anni viaggiavo molto. Pensi che in attesa del primo figlio lavoravo in Giordania e al sesto mese fui costretta a rientrare per potermi assicurare il volo. Continuai a lavorare, ma quando nacque il secondo figlio, nel 1993, capii che non potevo più continuare così. Certo, mia suocera mi dava una mano, ma… quel lavoro non era conciliabile con la famiglia e così andai a lavorare nella ditta di mio marito”.
“No, no. Le spiego. Io a lavorare con mio marito ho resistito due mesi. Poi ne abbiamo parlato e io mi sono messa in proprio fondando e dirigendo la EcoRisana SA, ditta specializzata nelle indagini e nei progetti di risanamento di siti inquinati, dei trattamenti dell'acqua e dei materiali da costruzione. È stata tra i primi studi di ingegneria di questo genere e penso di poter dire di averci visto giusto. Poi, con gli anni, ho collaborato ed interagito anche con la ditta di mio marito. Abbiamo campi d’intervento complementari e specialisti intercambiabili. Questo facilita la cooperazione, ma ognuno opera nel suo ambito e continuiamo a crescere insieme”.
“No, non lo sono più, e come ogni mamma sono la mia più grande soddisfazione e il mio più grande vanto. Il maggiore è economista e lavora a Zurigo: cravatta, valigetta, telefonino; il “piccolo” è agronomo e lavora in Ticino: scarponi, camicia a quadri. Entrambi hanno trovato la loro strada e il proprio equilibrio. Sembra che il fatto di essere stata attiva professionalmente oltre che da mamma, non abbia avuto effetti devastanti sui figli… Sembra anche che la mia attività di promozione MINT (ossia delle materie scientifiche e tecniche) tra i giovani non abbia attecchito con i nostri figli! La nota più bella è che in maggio diventerò nonna!”.
“Non penso ci sia una soluzione unica. Fin che la parità uomo-donna non sarà, in tutti gli ambiti sociali, un dato acquisito, ognuno dovrà trovare la propria soluzione individuale cercando comunque di influire sul cambiamento della società. Io penso di essere stata molto fortunata: mio marito ed io abbiamo passioni comuni e, soprattutto, abbiamo fatto in modo di poter gestire assieme anche i compiti “casalinghi”. Cucina compresa visto che… un chimico deve pur saper cucinare. Devo dire però che volevo lavorare e che ho una professione che mi appaga: purtroppo per le donne non è sempre così. Mi sono inoltre data la regola che il tempo che passavo con i miei figli era solo per loro, quindi, la sera, chiusa la porta di casa, l’ingegnera lasciava il posto solo alla mamma. Non sempre è stato facile (soprattutto negli anni in cui mi occupavo, come granconsigliera, anche di politica attiva), ma sono riuscita a vincere la sfida dimostrando così che le donne possono essere anche ingegnere ed addirittura avere ed allevare dei figli e ne sono molto soddisfatta.”.
“All’anagrafe sì, è vero. Ma tra questo dato di fatto e l’andare in pensione ci passa ancora una differenza e penso che, anche questa volta - salute permettendo - , la vorrò sperimentare”.