Prima c’erano i romanzi di pura avventura, poi, piano piano, quelli sono andati scomparendo lasciando spazio ai saggi finché a gennaio di quest’anno è arrivato l’ultimo lavoro che si potrebbe definire un prodotto ibrido, una sorta di via di mezzo tra il saggio e il romanzo. Titolo: “Filosofia minima del pendolare”. Autore e io narrante, ma in terza persona e in qualità di Testimone: Björn Larsson. Diciamo subito che il libro, edito da Iperborea, non è di quelli che ti acchiappano subito. È però certo che la bambola con la testa mozzata che sta accanto “alle rotaie lustre dall’usura” del binario sei della stazione di Lund non lascia indifferenti. Perché, fra le migliaia di persone e situazioni che il Testimone ha visto e vissuto in 40 anni di pendolarismo, è a questa bambola decapitata che dà il posto d’onore? Perché la scelta di un posto sui mezzi di trasporto dice molte cose sull’umano che sceglie, ad esempio, il corridoio piuttosto che il finestrino. Lo spiega bene il Testimone quando, al capitolo 5, osserva che “il problema di dove uno vorrebbe sedersi e dove alla fine effettivamente si siede potrebbe diventare oggetto di vasti studi di psicologia, sociologia, etnologia e antropologia, tanto per elencarne qualcuno. Ma sentendo l’espressione ‘stare al proprio posto’ la maggior parte della gente non pensa in primo luogo ad aerei, treni o autobus, quanto piuttosto alle gerarchie tra esseri umani, in particolare tra classi sociali”. Ed ecco che il tema caro da sempre a Björn Larsson – quello dell’essere umano – riemerge in tutta la sua forza. Un’occasione per approfondire questo tema la offre “Athena cultura” che per venerdì 4 aprile alle 20.30 all’USI propone un incontro proprio con Larsson, incentrato sul suo saggio “Essere o non essere umani – Ripensare l’uomo tra scienza e altri saperi”. C’è però molto in questo “Filosofia minima del pendolare” di “Essere o non essere umani”, c’è molto con un vantaggio: il testo è accessibile a un pubblico più vasto.
“Devo dire che non scrivo mai un libro pensando a un pubblico specifico, o al fatto che un libro sia più o meno accessibile al pubblico. Tutto dipende dal tema e dalle storie da raccontare. Ovviamente so che i miei tre libri di linguistica e di critica letteraria, scritti in francese, non saranno mai dei best-seller. Detto questo, mi lasci anche dire che a me sembra che oggi molti lettori si sono impigriti: quando trovano una parola che non conoscono o che non capiscono non ne cercano il significato in un dizionario, né decidono di aprire un’enciclopedia per informarsi sulla realtà che il libro racconta”.
“Essenzialmente per mostrare che anche in questo apparente vuoto temporale ci sono cose interessanti da vedere, da ascoltare e da sperimentare. Ammetto che, in parte, si tratta di una deformazione professionale. Per uno come me il vantaggio, se preferisce il pregio, di essere e fare lo scrittore, è che quasi tutto ciò che accade, vive e vede può servire un giorno. Mi spiego: io non posso fare a meno di osservare e ascoltare cosa fa la gente intorno a me. Poi, quando si verifica un comportamento o ascolto una frase che mi colpisce, che mi sembra significativa o divertente, per me è quasi automatico prendere qualche appunto. Le faccio un esempio. Una volta stavo per imbarcarmi sul traghetto tra Svezia e Danimarca. Davanti a me, in coda, c’era un anziano signore. A un certo punto si volta e dice al suo amico: «Io penso che oggi pioverà. Lo pensi anche tu?» e l’amico gli risponde: «Dipende dal tempo». Inevitabile, per me, registrare questo scambio d’opinioni che mi ha regalato un sorriso.
Poi, alla base di questo libro c’è anche la scoperta che, ad eccezione di Fabio Stassi, scrittore italiano di origini siciliane che ha dedicato una decina di pagine all’”Anatomia del pendolare”, quasi nessuno si è mai occupato seriamente del fenomeno del pendolarismo. Stranamente ci sono fenomeni sociali che sfuggono completamente all’attenzione non solo degli scrittori, ma anche dei cittadini. Da qui la scelta di raccontare in terza persona, come Testimone piuttosto che come io. Un modo per ricordare che la mia storia di pendolare non è soltanto la mia. Avevo fatto la stessa cosa «Nel nome del figlio» dove è «il figlio» che racconta la storia. Se scelgo di pubblicare un libro, deve essere perché ho qualcosa da dire ai miei lettori, non a me stesso. Non ha senso scrivere per «sé stessi», per esibizionismo”.
“Ovviamente, anche i pendolari sono assolutamente esseri umani. Il fatto è che nel tragitto che compiono come pendolari mettono in stand by la loro vita e la loro attenzione. Vivono in una sorta di tempo sospeso. Vede, spesso si dice che sono uno scrittore di viaggio. Io penso invece di essere soprattutto, o piuttosto, uno scrittore che viaggia. È vero che ho scritto un paio di libri che potrebbe rientrare nel genere della letteratura di viaggio, ma ho anche scritto libri più sedentari. Per me scrivere e raccontare storie dev’essere ed è in sé un genere di viaggio che mi porta, con i miei lettori, ad esplorare paesi, identità, culture e società diversi. Non ha molto senso raccontare le cose che tutti sanno già. Le pare?”.
“Guardi, non è il mezzo di trasporto in sé che può essere umano o disumano. È piuttosto il modo nel quale è organizzato e vissuto il trasporto a renderlo più o meno umano. Recentemente in un dialogo sulla Lettura, due professori hanno discusso di Milano e dei suoi problemi, fra i quali “la miseria dei pendolari” di cui nessuno si occupa seriamente. Pensi ad esempio alle migliaia e migliaia di studenti che iniziano la loro giornata a piedi, stretti come sardine, sui pullman, a volte per tre quarta d’ora. Non è proprio una maniera di favorire il desiderio di andare a scuola e imparare. Si potrebbe fare molto di più per migliorare la vita dei pendolari. Basterebbe vi fosse la volontà politica”.
“Il car pooling esiste anche in Svezia. Alcuni lo praticano per ragioni ambientali. Le macchine inquinano e troppo macchine sulle strade allungano il tempo necessario per percorrere il tragitto di andata e ritorno casa/lavoro. Per altri invece il car pooling è una scelta di tipo esclusivamente economico. Non mi sono occupato di questo tipo di pendolarismo perché innanzi tutto non ne ho esperienza diretta (né di car pooling, né di ‘pendolarismo solitario’ in auto), poi perché in auto ciascuno viaggia, in definitiva, per conto suo. Converrà con me che sui mezzi di trasporto collettivi c’è almeno la possibilità di incontri e esperienze di vita con gli altri sebbene, ne sono consapevole, l’avvento dei telefonini abbia ridotto di molto la possibilità di interazioni tra umani”.
“Né l’una, né l’altra cosa. Non mi illudo che un libro solo – mio o quello di un altro scrittore – possa cambiare il mondo. Però forse può cambiare - o contribuire a cambiare - la vita di un lettore o due. È già qualcosa. Bisogna anche dire che per me, la letteratura di finzione non deve competere né con la scienza, né con il giornalismo, cioè con discorsi di verità. Il compito principale della letteratura è quello d’immaginare possibilità di vita, di pensieri, di emozioni, di linguaggio e maniere alternative di vivere insieme. In tutti casi, l’impatto di un libro o di uno scrittore non si può prevedere, né essere stabilito. Sono i lettori il metro e la misura di ogni libro”.