L’educazione alla digitalizzazione nella scuola dell’obbligo (del Cantone Ticino), come in quasi tutte le scuole svizzere, si occupa essenzialmente di insegnare competenze tecniche, pratiche e di affrontare qualche elemento di contestualizzazione sociale (conseguenze, rischi e opportunità). L’apprendimento ruota attorno alla capacità di scegliere, gestire e motivarne l’uso dei principali strumenti e mezzi di comunicazione, gestione dei dati e dei contenuti. Oltre a trattare alcuni ambiti relativi a protezione e privatezza delle informazioni e dei dati.
Nonostante queste nozioni siano un bagaglio utile e necessario per affrontare il mondo nei suoi aspetti più moderni, esiste ancora molto da fare (ed è urgente farlo come giustificherò più avanti) in almeno due ambiti.
Il primo riguarda un approfondimento e un conseguente adattamento dei comportamenti in scuola (svolto dai docenti verso gli studenti) sulle conseguenze dovute all’utilizzo continuativo e onni comprensivo degli strumenti digitali, che poi dovrebbe essere seguito da conclusioni e comportamenti dedotti nei confronti degli studenti.
È ormai ampiamente dimostrato (anche se poco conosciuto) come l’uso continuo e generalizzato di strumenti digitali per comunicare e scambiare dati e informazioni generi problemi, soprattutto ai giovanissimi, di concentrazione, apprendimento, nei contatti sociali e generalmente nella struttura neurobiologica del cervello. Proprio perché la formazione della struttura neurologica avviene appunto principalmente nella fase più giovane della vita è in quel momento che bisogna svolgere quelle attività che plasmano il cervello con massima attenzione. Abituarlo ed abituarsi ad interagire attraverso mezzi virtuali e a farsi guidare da agenti terzi invece di essere attori del proprio ragionare ed agire impoverisce irrimediabilmente la struttura neurobiologica e rende incapaci all’autonomia decisionale, argomentative e di ragionamento.
Un esempio molto banale ma che vale per estendere il ragionamento in molti ambiti. È il fenomeno secondo cui farsi guidare, per un periodo di tempo abbastanza lungo, in tutti i percorsi geografici da un agente virtuale che calcola il miglior percorso da A a B, e ce lo propone indicandoci la strada da percorrere, rende la persona che si lascia sempre guidare in questo modo, incapace di muoversi autonomamente (con l’ausilio del proprio cervello, e di qualche carta geografica fisica). Si parla di fenomeno del “taxista londinese”, perché proprio su questa categoria di lavoratori è stato verificato come oggi non siano più autonomi nel movimento nella città di Londra, senza un navigatore digitale, quando anni prima avevano la capacità di trovare gli indirizzi dovunque con il solo ausilio del proprio cervello.
Sì. Lasciarsi guidare a lungo da agenti virtuali per qualsiasi altra scelta (tra cui anche e soprattutto quelle emotive) rende incapaci all’autonomia, perfino quella sociale ed emotiva*. È quindi prioritario (e ripeto urgente per evitare di creare generazioni di disadattati all’uso del proprio cervello e della propria capacità a socializzare) insegnare l’uso e introdurre strumenti digitali consapevoli di queste conseguenze.
* Vedi ad esempio Manfred Spitzer, Demenza Digitale, Corbaccio ed. 2019 , oppure: Michel Desmurget, Il cretino digitale, Rizzoli, 2020, e letteratura li citata
Il primo importante correttivo alla situazione attuale va quindi nella direzione di approfondire le conseguenze e adattare insegnamenti e l’utilizzo a scuola e non solo. E di limitare l’uso di schermi e associate applicazioni digitali anche a costo di contrastare una imperante moda che li vede definiti necessari per il lavoro e la vita sociale. Insegnare a usare meno e più coscientemente.
In secondo luogo, attiro l’attenzione sulla dicotomia che esiste tra conoscere uso, rischi e opportunità degli strumenti digitali (che insieme contribuiscono a formare il concetto di digitalizzazione) e invece comprenderne la scienza che li ha originati (l’informatica, che come tutte le scienze è costituita da basi concettuali, modo di ragionare, principi). Probabilmente, come le altre scienze hanno dimostrato, sarebbe una opportuna conoscenza della stessa che permette di riflettere in modo opportuno anche su dove, come e perché l’utilizzo di un prodotto di questa scienza sia utile o dannoso. Ebbene questo parla decisamente a favore di introdurre la scienza informatica fin dai primi anni della scuola dell’obbligo, evidentemente in modi adatti all’età, così come avviene per esempio nelle le scienze naturali e matematiche.
La scelta per ora è di farlo solo al Liceo (per altro non una scuola obbligatoria). Creando così almeno due problemi. La mancanza di una solida base argomentativa nei giovani allievi della scuola dell’obbligo quando confrontati con la stessa (e oggi succede sempre e ovunque). E causando una discontinuità tra livelli scolastici non facile da gestire (per i docenti e per gli studenti). Anche qui possiamo affermare come sarebbe possibile fin dai primi livelli scolastici inserire attività che formano a “far risolvere problemi” più che “risolvere” iniziando a concepire istruzioni che possono essere elaborate.
Il secondo correttivo è quello di iniziare da subito nella scuola elementare a educare sulle basi logiche e concettuali dell’informatica. Infatti, per preparare i cittadini alla società digitale dobbiamo inserire nella scuola l'istruzione scientifica nella disciplina che ne è alla base: l’Informatica. Man mano costruendo una conoscenza che si possa approfondire secondo il livello scolastico e contribuisca a formare cittadine/i consapevoli. Non scordiamo qui che la generazione Google non è geniale, come si tende a credere, ma intellettualmente limitata, come dimostrato scientificamente*.
* Rowlands I, et al., 2008, The Google generation: the information behavior of the researcher of the future, Aslib Proceedings 60: 290-310
Molto sarebbe possibile ancora dire e approfondire, dovendo concludere lo si può fare enunciando che molto si sta facendo ma l’educazione al digitale va affrontata alle radici della sua essenza sia per quanto riguarda il suo essere (la scienza che la origina) sia per quanto riguarda le sue conseguenze (le influenze sul nostro cervello e quindi la nostra vita e la società che vogliamo nel futuro). Per evitare che, citando Leonardo da Vinci (nel Trattato della pittura): Quelli che s'innamoran di pratica sanza scienza son come 'l nocchiere, ch'entra in navilio sanza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada.