La prima cosa che colpisce in lei è la gentilezza – “Se sei gentile tu difficilmente gli altri non lo sono con te” –. Lo dice sorridendo in un’intervista che più strana non si può. Lei, amante della montagna, in attesa a Coira di poter varcare il passo dello Julier dov’è caduta la prima neve – “Qui sta arrivando l’autunno” -. Io – e scusate la parentesi personale – con lo sguardo che si perde nel blu del mare di Grecia. Temperatura alle 12.00 locali: 32 gradi. Niente paura, non parleremo di cambiamenti climatici, dossier spinosi, polemiche presenti, passate e future. Obiettivo di questo incontro: raccontare, seppur in breve, la storia di una donna extra-ordinaria, pragmatica, ma al tempo stesso sognatrice, una che ha saputo rivoluzionare, non una, ma almeno quattro volte la propria vita e che adesso, dopo quattro anni come consigliera nazionale, ha deciso di ripresentarsi. “Mi sono data il 50% di possibilità sia in positivo sia in negativo e, se prevalesse quest’ultima eventualità, ho una certezza: non tornerò ad occuparmi di politica comunale. Il mio ‘piano B’ non lo prevede”. Volete scoprire in cosa consiste il ‘piano B’ di Anna Giacometti – sì perché è di lei e con lei che stiamo parlando –? Non vi resta che leggere quanto segue.
Partiamo dalle presentazioni. Membra del Consiglio nazionale per il PLR della Commissione Finanze, Anna Giacometti, 62 anni, da 36 anni ha un marito, i suoi due figli di anni ne hanno 33 e 30 ed è la felice nonna di quattro nipotini. Poi, a completare la famiglia, ci sono tre gatti: Mario, 17 anni (che si chiama così perché il figlio più giovane, quando arrivò questo micio, era un patito di Super-Mario); Puma e Birillo, due trovatelli che sei anni fa un compagno di scuola le regalò di rientro da un viaggio a Napoli. Viaggiare, muoversi, conoscere, confrontarsi è parte del Dna di Anna Giacometti.
Scusi, ma non mi ha detto che ama la montagna?
“Certo, amo la montagna, ma vede, i bregagliotti si dividono in due categorie: quelli che per nulla al mondo lascerebbero la loro valle e quelli che il mondo lo vogliono conoscere. Io appartengo a questa seconda categoria. Quando ottenni dai miei genitori il via libera per frequentare il liceo alpino di Zuoz mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Cominciavo a muovermi ed era bellissimo. Finiti i tre anni in Engadina sono partita per Londra dove, come ragazza ‘au pair’, ho trascorso un anno imparando l’inglese e apprezzando la vita che caratterizza una metropoli cosmopolita. Tornata a casa i miei genitori mi fecero notare, amabilmente, che a vent’anni era ora che cominciassi a lavorare sul serio. Il primo posto lo trovai a Coira come segretaria della scuola infermiere e infermieri. Ero lì quando, sul giornale, trovai l’annuncio che mi ha cambiato la vita. Tutto è partito dalla domanda che vi campeggiava: sei interessato ad una carriera consolare all’estero? Certo che ero interessata! Così mi sono annunciata al Dipartimento federale degli affari esteri, ho superato la selezione e, dopo un periodo di formazione, mi sono trovata proiettata in un altro mondo, nello specifico quello di Lisbona, una città che ho amato profondamente e dove, nei due anni in cui ho lavorato all’Ambasciata svizzera, ho incontrato persone e idee affascinanti e stimolanti. Poi sono stata richiamata Berna dove mi hanno assegnato a una nuova destinazione: Consolato generale svizzero a Milano. Mi è quasi venuta voglia di piangere. C’era bisogno di personale italofono. Io italofona lo ero, ma ero anche una che voleva conoscere il mondo, invece ero destinata a una città situata a un paio d’ore da Stampa, da casa mia. Poi, me lo conceda, nel 1985 Milano era proprio una brutta città: grigia, inquinata, piuttosto cara e anche fredda. L’esatto opposto di Lisbona. Sono stati, per me, due anni difficili. So che nel week-end fuggivo in Bregaglia tra le mie montagne. Lì ho ritrovato un amico di lunga data che è diventato il compagno della mia vita. D’accordo con lui mi sono recata a Berna e ho rassegnato le dimissioni al termine dei due anni dovuti. Pensi che la nuova sede alla quale sarei stata destinata era New York. C’è stato, lo ammetto, un attimo di smarrimento, ma ormai avevo deciso: sarei tornata in Bregaglia”.
Dove non mi risulta ci siano sedi diplomatiche…
“Infatti non ce ne sono, ma io in Bregaglia sono tornata per fare la contadina. Ho aperto un’azienda agricola con pecore, due asinelli, anatre e galline. È stato un periodo meraviglioso. Sono diventata mamma e, vivendo fianco a fianco con gli abitanti della valle, mi sono anche avvicinata alla politica. Il problema è che la politica, piano piano, ha richiesto sempre più tempo e mantenere l’equilibrio tra casa (marito e due figli), azienda agricola e impegno per la cosa pubblica mi ha indotto a chiudere l’azienda. Le pecore le ho vendute a un altro agricoltore qui in valle, i due asinelli sono andati invece a vivere in Appenzello. Pensi: sono andata anche a trovarli, ma hanno dimostrato indifferenza quando mi hanno vista, quasi fossero offesi dalla mia decisione (sorride, ndr). Sta di fatto che più vado avanti più aumenta il mio interesse per la politica e in particolare per il progetto di aggregazione dei Comuni. In Bregaglia, fino al 2009, ce n’erano cinque: Bondo, Castasegna, Soglio, Stampa e Vicosoprano. Il processo di aggregazione ha richiesto cinque anni di lavoro intenso, ma adesso Bregaglia è un Comune forte e attento alle esigenze di tutti i suoi abitanti”.
Non vorrà dirmi che dopo le discussioni e i contrasti – ricordo che Vicosoprano non era particolarmente favorevole all’aggregazione – vissero tutti felici e contenti…
“Infatti non glielo dico anche perché, sebbene mi piacciano le fiabe, so che tali sono. Poi, come sindaca del nuovo Comune – un lavoro al 70% - mi sono trovata confrontata con i problemi della quotidianità che variano non tanto da frazione a frazione, quanto piuttosto da persona a persona. Così, con i colleghi dell’amministrazione pubblica, giorno dopo giorno, mattoncino su mattoncino, abbiamo costruito una realtà comunale solida. Tutto ciò dal 2010 a quel 23 agosto del 2017 quando la montagna, il Pizzo Cengalo, decise di cambiare il corso della nostra storia”.
Stiamo parlando della cosiddetta “frana di Bondo”…
“Esattamente di quello. Ricordo benissimo quella mattina. Ero nel mio ufficio. Ho visto la polvere nel cielo (ma non lo staccarsi della massa rocciosa). Ho capito che stava succedendo qualcosa di grave. Poi il rumore, forte e cupo e poi… la prima colata detritica che ha raggiunto Bondo. Sono corsa giù a dare una mano ad evacuare il villaggio, mentre la valle Bondasca era invasa dalla polvere e le rocce si erano già inghiottite le vite di otto persone. Fortunatamente il bacino di ritenzione – una delle opere che avevamo realizzato come comune di Bregaglia – ha evitato il peggio. I detriti però si sono portati via case, stalle, macchinari… tutto insomma. So che in quel momento mi sono detta: “Adesso dimenticati di te e sii forte perché tutti avranno bisogno di un punto di riferimento”. Ho telefonato a mio marito dicendogli che, per un po’, non mi avrebbe visto. Rientravo solo per riposare, il resto del tempo ero occupata con la gestione della catastrofe che ci aveva colpito. Dormivamo poco e il sostentamento era garantito da cittadini che su un tavolo depositavano pane fresco, formaggio, frutta, salumi che spiluccavamo alla bisogna. Si è creata una comunità che ha lavorato e lottato insieme, senza contare che tutta la Svizzera – quella istituzionale, certo, ma anche i cittadini – ci ha dato una mano. Il Ticino, in particolare, ci è stato molto vicino. Ci sono stati Comuni ticinesi che hanno organizzato collette ad hoc: 1 franco per abitante!... Una solidarietà che ci ha fatto bene all’anima perché non ci siamo sentiti soli. Ricordo che, da agosto a dicembre, sono uscita una volta sola dalla Bregaglia. Sono andata a Le Prese per il matrimonio del mio primo figlio che adesso, con la sua famiglia, vive a Zurigo. Poi sono tornata in valle e ho continuato a lavorare per consentire alla popolazione di riprendere possesso delle abitazioni in sicurezza. Fondamentale, per questo, è stato l’aiuto di esercito e protezione civile. Quando hanno terminato gli interventi, era il 15 dicembre del 2017, hanno però lasciato la valle”.
E voi, siete rimasti soli?
“Lo ammetto, all’inizio ho temuto che le cose potessero andare così. Penso sia normale, la valle si svuota e l’adrenalina che mi aveva sorretto fino a quel momento era svanita. Invece il sostegno non ci è mai mancato. Non sono mancate neppure le critiche degli abitanti di altre frazioni. ‘Bondo, Bondo, sempre Bondo… Ci siamo anche noi!...’. Avevano, in definitiva ragione, ma la priorità era quella di ridare una vita normale agli abitanti di questa frazione. Poi… c’era il ponte da ricostruire. Una lezione di vita davvero importante. Ci dicevamo: dobbiamo ricostruire il ponte. Chiamiamo qualcuno che ci dia un consiglio. Arrivò Orlando Menghini, pianificatore. Gli sottoponemmo il nostro piano. Lui ci guardò e ci disse: voi non dovete pensare di ricostruire il ponte com’era prima, voi dovete impegnarvi a costruire il ponte più bello del mondo. Ha cambiato la nostra prospettiva e siamo riusciti nell’impresa”.
Cos’hanno significato per lei quei giorni, quei mesi, quegli anni?
“Guardi, da quel 23 agosto – io che amavo moltissimo leggere – non riesco più a leggere un romanzo. Mi sembra di sprecare del tempo e ancora adesso non ce la faccio proprio. Continuo a comprare libri, ma… li guardo e mi dico che sì, un giorno forse li leggerò. Diverso il discorso per quanto concerne le passeggiate in montagna. Insomma, posso dire che la ‘frana di Bondo’ mi ha tolto tanto, ma mi ha anche dato tanto”.
C’è chi sostiene che nel 2019 quando è stata eletta al Nazionale ha fatto incetta di voti tra tutta la popolazione grigionese che ha voluto testimoniarle così stima e riconoscenza…
“Probabilmente chi sostiene ciò ha ragione visto che non sono stata votata solo dai liberali e, non lo dimentichi, ero la quarta di lista e non ho fatto campagna elettorale. Sa, ero uno di quei candidati che si mettono sulla carta, ma che non hanno grandi chance. La mia elezione è stata una sorpresa: per il PLR, ma anche e soprattutto per me. Io ero sindaca e a dicembre dovevo essere a Berna. Trovare un sostituto e riorganizzare la mia esistenza e quella della mia famiglia non è stato semplice. Alcuni miei concittadini mi dicevano: ‘Rinuncia. Cosa vai a fare a Berna?’. Già, me lo chiedevo anch’io visto che io lavoravo in un Esecutivo, mentre a Berna avrei fatto parte di un Legislativo. Mi sono detta che era giusto onorassi la fiducia di chi mi aveva votato e così ho cercato di far convivere la sindaca con la parlamentare. Una situazione che è durata poco. Se poi pensa che a febbraio è scoppiata la pandemia capirà che per una neofita i primi due anni a Berna sono stati molto, molto difficili. Fortunatamente il mio compagno di banco – Alex Farinelli – mi ha aiutato a districarmi in questo nuovo mondo”.
Senta, ma se il prossimo 22 ottobre non venisse rieletta?
“Gliel’ho detto. Ho un piano B che non prevede il mio ritorno alla politica comunale. Voglio godermi i miei 4 nipotini, i figli di Tobia, il mio figlio maggiore, ma… non farò la nonna a tempo pieno. Finalmente tornerò a viaggiare per il mondo e questa volta con mio marito e poi… chissà che non riesca a tornare a leggere anche romanzi e non solo, come ora, rapporti commissionali e giornali. Sono serena”.
Boa sorte, Sra. Giacometti, também da Lib-